Frittata d’inchiostro


In un battello di negri le cui urla si potevano sentire a chilometri di distanza nell’oceano indiano il sangue colava dalle fruste e i mercanti marinai.
Yussuf si rese conto che era meglio buttarsi nell’oceano che finire così. Non era legato perché si pensava che nessuno avrebbe fatto una pazzia così, ma li aveva sentiti dire che un’isola era vicina in direzione del sole che tramonta.
Forse avrebbe potuto aspettare la notte, ma allora lì sarebbe stato nella stiva in catene. Prese la rincorsa e due uomini gli si buttarono addosso all’altezza del bacino, ma se l’aspettava e girò su se stesso e riuscì a sgusciare via, perse l’equilibrio, ma non cadde, ma rallentò la corsa e altri stavano arrivando, a occhio, non ce l’avrebbe fatta, ma non aveva più niente da perdere, con la coda dell’occhio vide qualcuno alzare il fucile.
C’erano ancora due uomini tra lui e il mare, due della sua tribù che si scansarono.
Saltò, per l’ultima volta vide la luce del sole che lo colpì in pieno volto e
per l’ultima volta udì un colpo di fucile.
Fu un momento d’amore per sé. Stava librando nel vuoto. E ricordò le parole del suo sciamano “Segui la via dell’aquila”.
La pallottola attraversò il cranio di uno dei suoi che e lui toccò l’acqua gelida dell’oceano mentre altri fucili lo aspettavano al varco.
Lo sapeva, e restò in apnea per dieci minuti, da buon cacciatore di coralli. In quei dieci minuti successero molte cose sulla nave e molti corpi vennero gettati giù dalla nave. Non erano corpi neri. Ed affondavano direttamente tirati giù dalla corazza e dai vestiti impregnati d’acqua. Quando riemerse si ritrovò a nuotare da solo in direzione della palla di fuoco, mentre la notte stava arrivando e i suoi compagni si trovavano con una nave alla deriva, dato che non c’era più nessuno che sapesse farla navigare.

Girotondo


Il caso vuole che una soffitta ci mostri un’ondata di pipistrelli che vola in mezzo alla neve e si metta di traverso con una voce di cori celtici.
Una voce che viene dal passato che ritorna eternamente mi ricorda la fugacità della vita che muore.
Una scarpa assordante che sa di chitarra elettrica suonata in sottofondo.
Un sottofondo alle mie poesie senz’autore. Porca puttana, cosa ci faccio qui? Faccio uno spezzatino di rose blu senza spine. Un tonno senza lische. Tutto ciò mi permette di sentirmi come un ragazzino al suo primo appuntamento.
Il ritmo di una batteria impazzita mi solletica i timpani e i timpani comandano braccia e gambe che non smettono di muoversi come un burattino a cui si fa il solletico a ritmo di musica.
Ballo finché la puzza di ascelle non assomiglia ad un soffritto di aglio e cipolla. Un bombardamento di costolette di maiale e ketchup, quello era il ritmo di un batterista col mal di denti. Non so perché non potevo fermarmi. Un Dio sadico mi aveva messo nelle mani del mal di denti e lui, tramite me lo sparava fuori e io, tramite lui, potevo entrare in uno spazio psicadelico di mille suoni e colori che affogano insieme in uno stagno di puzzole avvinghiate e sanguinanti.
A un certo punto avevo voglia di lavarmi i denti per sentire un po’ d’acqua e menta che mi dessero voglia di pisciare carne e sangue insieme ai denti del pazzo. Recitai un mantra buddista e dopo un po’ il batterista pazzo evaporò insieme alla batteria e alla soffitta e rimasi a ballare in una strada piena di gente.