Polipo pulp


Livido sesso di una membrana di sangue si staglia sulla tela di un pittore bambino che succhia il pennello come fosse un pollice per bere il succo della materia divina. Si staglia sulla tela il processo effimero di una donna elefante che corre nuda nel deserto di amori e sapori laceranti e urlanti. Gode la città di spiriti maligni che voracemente ne mangiano l’anima e mangiandola diventano santi e sassi e rocce di smeraldo che dorme il sonno di un bambino defunto e risorto.

Prega mia bella la sorte rapita in un polipo multicolore che si mescola con se stesso in un universo senza tempo. Dove lo spazio racchiuso in una tela dipinge il seno di una puttana. I sentimenti si fulminano indecenti e carichi di alloro e spezie d’oriente che caricano un cavallo di putrido letame e ne affumicano l’incenso che sa di origano e cannella.

Walter si soffia nella pipa e aspira il sacro desiderio di una stella bruciante e immortale nei polmoni densi del fumo che droga il cervello e il cuore, mentre si spegne il cerino acceso dalla madonna di tutte le tele vergini e colorate.

Walter sogna il tempo che fu, un dio benestante dai mille coriandoli mentre ballava il carnevale insieme alla dorata criniera della sua bella Maria e l’amplesso godeva del momento senza un respiro che potesse librarli nel cielo di fuoco. Piangeva Walter nel mezzo di una masturbazione e l’amplesso fu un grido di dolore che fuggì dalle labbra e dalla gola, dallo stomaco e dal petto facendo tremare gli oggetti che ne temevano la potenza distruttrice.

Fumava, Walter la droga del cuore e della mente inebriata di follia alla sua massima potenza, mentre origano e cannella si spargevano nel seno della sua bella immortalata nella sua tela ad eterna memoria, a defunta memoria di vivi che non si danno pace, di morti che sono sereni. In una tela assente e presente a quel momento di vita, come un morto che ti guarda. E si chiede perplesso il perché del dolore.

La nostalgia di un ricordo si sparge nel vuoto di una camera oscura e rischiarata dalla luna che penetra nell’intimità di una grotta dei sensi. Mucillaggini di sterco la ricevono e sembrano più puzzosi che mai mentre Walter giace svenuto sperando di esser morto per stringer Maria almeno un momento. E la tela si anima e gli fa una grazia.

Risplende alla luna ed entrambi splendono nell’abbraccio immortale di un’anima che ora vive e si addormenta col suo sposo per un momento, calmandogli il cuore, calmandogli il dolore, benigno tumore di un tempo che fu e non tornerà mai più. E una lacrima scende solitaria, una lacrima di pace, una lacrima di sereno abbandono.

Cogito ergo escogito


Girando escogito placidamente code di volpi argentate nella lunga pelosa giungla di corredi matrimoniali cuneiformi. Senso. Di cappotto acerula che s’avvinghia e dipinge multiformi ancelle di un dio a forma di piede. Leggerezza e santità chiuse in un chiostro si saldano sulla via di Medina, là dove lo schiavo arabo prega in tibetano cistercense. Pannocchia grigio ferrea ti scolpisci azzurra nella vigna della S. Maria Capo a Vetere. Trimezzana nascosta si spende nell’aquitrino palumbro e scontroso. Esse camminava sinuosamente nella vetta del ciel d’agosto. Sottane svolazzanti e tacchi a spillo. Ed esplode sotto i garofani e i tulipani splendenti. Soli e felici ci baciavamo tra granchi e pietre nella luna sfoggiante mille rivoli di iodio. Trafitto da mille frittate mi affliggo onesto e impietrito davanti a petulanti pentole gasate di vin santo e benedicente. Lauro si masturba mentre ride davanti a comici cornuti di bolscevici animali della prateria. Dopo si stira le camicie che il David di Donatello garrisce di sabbia incolta ed eterea.

Mentre raccolgo le spighe di una mamma furibonda, gli esseni accontentano una dolce figura dipinta in mezzo a mille occhi di nocciola e riso grezzo.

Schizza petrolio da seni rubicondi.

Schizza paura da animi inquieti.

Spazza giocoso seminando il pastore.

E giro in tondo attorno al castello di sabbia e ricordi poderosi esplorando la coscia di Elisabetta troiana al pisello.

Uggioso benedico il capitello di punta Iolana che scroscia lentamente su cime tempestose e gronda di ascelle terrene la ridda di granchi che si sgranocchiano per un tozzo di pane.

Pane di panna che si asciuga e rotola in un fil di rame disciolto in una stazione adiacente.